Cinzia Nitti
Tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, il numero 5 ha la finalità di “Raggiungere la parità di Genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.
Dal bel paese tuttavia non pervengono dati e notizie di significante ottimismo in fatto di parità nell’ambito economico. L’ultimo Global Gender Gap Report pubblicato dal World Economic Forum ha stilato una classifica generale che vede l’Italia al 70° posto (seguita da Bangladesh e Camerun) su un raggio di ricerca comprendente 149 Paesi.
L’indice specifico che tiene in considerazione quattro aree tematiche 1. Lavoro e opportunità di guadagno; 2. Risultati scolastici ottenuti; 3. Salute e sopravvivenza; 4. Partecipazione alla vita politica – ha posto in rilievo un risultato inclusivo e meritevole sulla formazione delle giovani donne italiane, e tuttavia fatto emergere una preoccupante difficoltà (spesso assenza) delle stesse alla partecipazione attiva e integrata nel sistema economico del Paese. Il tutto contestualizzato in un quadro salariale che la dice lunga sulle cause-effetto del divario tra uomini e donne.
Nello specifico l’Italia si colloca al 118° posto nel ranking di “Economic participation and opportunity”, evidenziando un gap nel sistema economico e lavorativo interno difficilmente superabile in tempi brevi. Di fatto, il tasso di occupazione femminile è tra i più bassi in Europa, le donne sono ancora sottorappresentate nelle mansioni manageriali e – considerando la parità di responsabilità – percepiscono stipendi inferiori rispetto agli uomini.
Fonti ISTAT 2018 e Rapporto Gender Gap dell’Osservatorio Jobpricing hanno definito fortemente discriminante il profilo lavorativo femminile rilevato, a fronte di una stima di 30.521 euro lordi annui percepiti da un uomo e i 26.634 della donna. Nelle posizioni quadro il dato diventa ancora più evidente: una donna manager in Italia arriva a guadagnare anche 11mila euro lordi in meno. Traducendo queste ultime informazioni in esempio concreto, è come se alle donne fossero riconosciute dalle 8 alle 10 settimane di lavoro concretamente non pagate nell’arco di un anno.
Il divario retributivo e conseguentemente economico dunque, segna ancora una linea di demarcazione netta laddove dovrebbero essere previste, attuate, integrate formule di equità salariale che riconoscono l’effettivo valore aggiunto delle donne in relazione allo sviluppo economico del Paese nel quale vivono. Si è spesso portati a considerare la donna come una soft-skill sociale anziché mettere in atto la valorizzazione delle capacità, responsabilità e sforzi previsti tra gli “otto assi” d’azione voluti dalla Commissione Europea a partire dal 2016 e finalizzati a superare il gap remunerativo di genere.
Dare alle donne la coscienza della propria dignità lavorativa attraverso il superamento del divario salariale è un obiettivo sul quale Italia e Istituzioni Europee promettono ampi margini di miglioramento in una prospettiva di piena e positiva realizzazione dell’obiettivo in agenda sulla Parità di Genere.
“Il valore economico della differenza salariale di genere è un promemoria per i leader mondiali. Occorre agire ora e con decisione per investire in politiche che promuovano posti di lavoro migliori per le donne e parità di retribuzione sul lavoro.”
Kristalina Georgieva, Banca Mondiale